Follow on Bloglovin

Un po' (molto po') di me

La mia foto
Sono una wannabe-molte cose: giornalista, fotografa, animatrice, interprete, scrittrice, designer. O per meglio dire sono una WANTED TO, visto che ho scelto una carriera da creativa che mi ha portato al niente disoccupazionale. MA sono anche: figlia unica (e assenteista), moglie mutevole; riciclona seriale con tendenza compulsiva all'ammucchio negli angoli, amica leale, tendente alla puntualità cronica e alla lacrima+sigaretta, professionalmente impeccabile. Contraddittoria e mutevole. Cinica e creativa. Stronza, nella maggior parte dei casi.

sabato 3 marzo 2012

TrackBLACKlist

Consorte con un'impossibile richiesta di concentrazione, stasera. Mettiamo le cuffie e intraprendiamo un altro viaggetto nei codici PHP, và.

E poi zac!. Quella canzone. Quella della settimana in cui, io a casa con Consorte abbrutito e tu controvoglia in vacanza con la lei ufficiale, ci siamo divorati il fegato e gli organi collegati. Sms, sms, sms. Furtivi, come sempre e forse anche di più, ché c'era lei nei paraggi. Lei che voleva fare l'amore e tu che no - o così mi ha raccontato... ma non so se vale la pena di credere ancora a quel bel gesto cavalleresco, ora che ti conosco, ora che i tuoi punti deboli sono stati cerchiati in rosso e mi hanno fatto smettere di crederti.

E questa bastarda d'una tracklist sputa via una dopo l'altra tracce banali, agées, difficilmente ripercorribili in sequenza d'un filo logico qualsiasi.

Ma il nostro non era un filo logico, era una matassa sfilacciata dalle unghie di un gattaccio pulcioso, era un groviglio pieno di nodi serrati come i muri che si paravano davanti a ogni nostro sogno per il futuro.

Ecco le unghiate, ecco i nodi. Quella canzone anni '70 che cantavamo nei camerini di quel negozio in centro, mentre io provavo vestitini primaverili e tu provavi a infilarti dentro e sfilarmeli. Quella roba pesantissima, metallo, pioggia e schiaffi e odore di benzina su noi a piangere perchè le carte si scoprono e ci dicono che, una volta tirate le somme e ammessi gli errori e chiesto perdono, no... non c'è niente altro di buono da cui ripartire assieme, meglio darsi le spalle e ritornare ognuno alla propria sgangherata vita - e la canzone che ci chiede di resistere ancora, oltre l'amore che finisce, che è già finito e solo ora lo vediamo chiaro, oltre il rancore, oltre le mani che sentono freddo e che... no, che freddo sia. Quanto ne ho sentito addosso, di freddo, con le tue mani sporche di tradimento su di me a strapparmi promesse mentre già sapevo di non poter arrivare neppure a metà di quel futuro ipotetico. Ancora un'altra, la "nostra", l'avevo adottata con piacere: scanzonata, dolce, un po' ribelle d'adolescenza mai finita. Però si cresce e lo zucchero filato s'impasta in bocca, arrivano le bollette, arrivano le reticenze e io non so più chi sei.

Un'altra, no, questa non l'ho adottata affatto, a sbarrarmi il passo mentre mi allontanavo da te. Una musica pessima, una voce sgraziata, un testo che di poesia non ha nulla. Eravamo noi, quella canzone. Una cosa che pretende d'essere arte, d'essere bella, ed invece è una fregatura pazzesca, un prodotto per alternativi pseudo-freak o pseudo-qualcos'altro che vogliono fare i fighetti con certa roba. Come noi, no?, che ci siamo finti per anni coraggiosi, temerari, sicuri, lanciatissimi e sincerissimi, ed eravamo feccia, la peggiore feccia. E ci siamo fatti del male... ed entra un'altra canzone nelle orecchie, falla finita con questo strazio, io ci ho creduto ma tu no... ero io a scrivere quelle parole, a cantarle? E' un'esecuzione.

Sento le labbra muoversi mentre rincorro pensieri e immagini dietro le palpebre. Immagini di carne calda, di lacrime, di sorrisi teneri strappati da una vita orfana, di sussurri e di grida brutali, di gelosia accecante, di consolazione salvifica. E canto sottovoce, e dietro l'altra scrivania un ignaro consorte non si accorge di nulla. Ho vissuto quattro anni senza che si accorgesse di quell'amore, così diverso, così dilaniante e nutriente per me, tutt'altro che sottovoce. Perchè? Non può non conoscermi fino a questo punto. Forse non voleva vedere, forse non è mai stato abbastanza curioso di me, forse non ne aveva la forza. Forse temeva quel che avrebbe scoperto. Quel che ora non può scoprire più perchè tutto quel che rimane è un ricordo sfilacciato e annodato come questo filo che lega le canzoni e non è nemmeno un filo, non è una sequenza, non è niente. Ho vissuto per quattro anni di niente.

Forse dovrei spegnere il computer. A che pro, tuttavia? I ricordi non si cancellano. Il dolore, la disillusione, i conti in sospeso neppure. E' il caso di tirare comunque una riga e farli quadrare, comunque e a qualunque costo, prima che torni questo coccolone musicale. E' come se, voltando l'angolo d'una via in un giorno e in un'ora qualsiasi, uscita dal parrucchiere o in ciabatte verso la campana del vetro, l'avessi visto pararsi davanti a me, lui, così ingombrante, così goffo, assieme a tutto il carico dei ricordi e del cattivo che mi ha lasciato ardere attorno ai piedi. La reazione è sempre la stessa: "oh-oh" (oppure "oh, cazzo!" per i più scafati). Non si scappa...